Lo Studio Legale sta attualmente seguendo un procedimento penale relativo ad un omicidio colposo avvenuto, in base all'imputazione, per responsabilità impropria del medico. In estrema sintesi i fatti: un ospite di una casa di riposo che chiameremo con le sole iniziali P.S. viene trasportato d'urgenza al Pronto-Soccorso più vicino per le precarie condizioni di salute in cui versa. In particolare dagli esami del sangue effettuati P.S. mostra grave stato di anemia, alti valori di creatininemia e azotemia nonchè fibrillazione atriale; così il medico curante decide di inviare il paziente al Pronto-Soccorso. Tralascio altri aspetti, pur interessanti, per trattare quello che a me pare essere il nucleo centrale della problematica penale affrontata. Giunto presso il luogo di cura P.S. viene assistito dal medico T. il quale provvede a svuotale la vescica del paziente (contenente circa 5 lt. di urina!), esegue un lavaggio vescicale, somministra un farmaco per la fluidificazione del sangue (Clexane 5000) e, assunto un "parere verbale" da parte del cardiologo che il T. dice di aver contattato per una consulenza, ritenendo di aver correttamente adempiuto ai suoi compiti stabilizzando la situazione, dimette P.S. che, fatto ritorno alla casa di riposo dopo alcune ore vede aggravare la sua situazione clinica sino al decesso avvenuto alle prime ore dell'alba. Il dottor T. viene imputato per omicidio colposo (art.589 c.p.) e rinviato a giudizio. Lo Studio Legale prende in carico l'assistenza dei parenti del deceduto P.S. costituendosi parte civile per detti soggetti. Va detto che tale tipo di situazioni genera un fascio complesso di problematiche giuridiche da dover risolvere. Ma per quel che concerne il presente post un aspetto che mi piacerebbe approfondire è quello relativo all'inquadramento sistematico della condotta tenuta dal dott. T. al fine di valutare gli effetti che il Decreto Legge 158/2012, convertito in Legge 189/2012 (Decreto Balduzzi) potrà avere nell'ambito del procedimento in questione anche al fine di approntare una opportuna difesa degli interessi delle parti civili rappresentate. Vale a dire: il comportamento tenuto dal medico è inquadrabile nell'ambito della negligenza, impridenza o imperizia? E di conseguenza: tale inquadramento può avere delle conseguenze dirette sul procedimento penale seguito? L'interrogativo non è di poco momento. I concetti di negligenza, imprudenza e imperizia sono tra loro, a volte, sovrapponibili e la loro definizione prende corpo grazie all'apporto di settori culturali esterni al diritto quali la scienza medica (o ancor meglio la profonda concettualizzazione della medicina-legale) e il contesto sociale. Aspetti questi da non sottovalutare, tenendo conto, comunque, che chi metterà la parola fine sul punto è pur sempre un Giudice, ossia una persona che prima ancora di svolgere un ruolo è essa stessa un individuo, con idee, emozioni e concettualizzazioni sue proprie, attinte oltre che dai libri su cui si è formato dalla cultura in cui è solito operare.
La questione appena accennata è stata di recente oggetto di un interessante approfondime to da parte della giurisprudenza di legittimità. In particolare ci si riferisce alla sentenza n.11493/2013 (24 gennaio - 11 marzo) della Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Presidente Marzano - Relatore Piccialli. L'interrogativo principale cui, a parere dello scrivente, l'interprete sembra dover rispondere è il seguente: può il comportamento tenuto dal dott. T. essere inquadrato nell'ambito dell'imperizia, e in tale caso, quali effetti avrebbe il Decreto Balduzzi nella vicenda che ci occupa? In fin dei conti ciò che T. ha fatto, il comportamento che gli si rimprovera, è quello di aver dimesso P.S. quando ancora le condizioni di salute dello stesso non solo non erano state stabilizzate, ma addirittura non erano state clinicamente varificate (tramite idonei esami clinico-chimici). Le condizioni del paziente al momento della dimissione, in sostanza, erano ancora così gravi da richiedere un intervento immediato ed urgente dei sanitari che poteva concretizzarsi in una necessaria trasfusione di sangue, nonchè probabile trattamento dialitico. L'art.3, comma 1, del Decreto menzionato recita: "l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attivita' si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunita' scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo". L'enunciato in questione è stato interpretato dalla giurisprudenza di legittimità e di merito come un evidente riferimento effettuato dal legislatore solo ed esclusivamente al criterio della "perizia". Rifarsi a buone prassi e linee guida richiama e, nel contempo, connota il concetto stesso di perizia di cui all'art.40 del c.p. Le buone prassi e le linee guida descrivono al medico quali siano in astratto i comportamenti da tenere nel caso in cui il soggetto su cui si deve intervenire, presenti una situazione clinica inquadrabile in una delle tante ipotesi elaborate e vagliate dalla scienza medica: prassi e linee guida, appunto. Riferisce la Cassazione Penale (Sez. IV, n.11493/2013, sopra menzionata): "[..] né, trattandosi di colpa per negligenza ed imprudenza, può trovare applicazione il novum normativo di cui all'art. 3 della legge n. 189 del 2012, che limita la responsabilità in caso di colpa lieve. La citata disposizione obbliga, infatti, a distinguere fra colpa lieve e colpa grave, solo limitatamente ai casi nei quali si faccia questione di essersi attenuti a linee guida e solo limitatamente a questi casi viene forzata la nota chiusura della giurisprudenza che non distingue fra colpa lieve e grave nell'accertamento della colpa penale. Tale norma non può, invece, involgere ipotesi di colpa per negligenza o imprudenza, perché, come sopra sottolineato, le linee guida contengono solo regole di perizia". A conferma dell'univoca tendenza del Giudice nomifilattico si veda la più recente Cassazione, Sez. IV n.36347 del 2014. Pertanto, un comportamento del medico che ricada nel concetto di "imperizia" potrebbe oggi non aver più rilevanza penale se connotato da colpa lieve. In tali casi, quindi, l'imputato si troverebbe assolto, ma resterebbe aperta la possibilità per la persona offesa di far valere le sue ragioni in sede civile per il solo risarcimento del danno, danno che, comunque, vedrebbe ridotta la sua entità tenuto conto della colpa lieve contestata al medico. Nel nostro caso specifico allora può la condotta del medico T. ricadere nel concetto di "imperizia" e quindi, per conseguenza, essere, tale condotta, scusata se in capo al medico fosse accertata un responsabilità per colpa lieve? A parere di chi scrive, ad oggi la dimissione ingiustificata del paziente P.S. dal Pronto-Soccorso non può essere inserita nel concetto di imperizia. Il mancato rispetto di eventuali linee guida regionali e nazionali, che pure il sottoscritto ha citato nel corso del procedimento, servono solo come parametro per valutare l'operato del medico, il quale, pur in presenza di appositi riferimenti scientifici (le linee guida appunto) atti a guidare il processo decisionale del professionista nell'esecuzione dei compiti cui lo stesso è assegnato, ha autonomamente deciso di discostarsene, senza motivo o necessità alcuna, aggravando così il suo atteggiamento negligente e imprudente. Ma l'ambito normativo in cui ci si muove è oggetto di continui mutamenti e trasformazioni. In un recente articolo apparso nel sito Diritto Penale Contemporaneo a firma Alessandro Roiati, si segnala per l'appunto una prima timida apertura della Cassazione sul punto (Cassazione Sez. IV, 9 ottobre 2014, dep. 17 novembre 2014, n.47289, Est. Blaiotta). L'autore, evidenziando una patente "arbitrarietà" nella distinzione tra i concetti di negligenza e imprudenza, da un lato, e di imperizia dall'altro, cita scrupolosamente una serie di sentenze e casi in cui il discrimine tra i due settori di colpa sembrerebbe venir meno o, comunque, poggiare su deboli giustificazioni.
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